La Basilica di Santa Croce a Lecce

La Basilica di Santa Croce a Lecce: il capolavoro del barocco salentino.

Prima di illustrare la Basilica di Santa Croce a Lecce una breve premessa. L’arte barocca nasce in Italia alla fine del XVI e rimane in voga fino all’inizio del XVIII sec. Nata con la Controriforma, essa fu incoraggiata dalla Chiesa cattolica perché rappresentava una forte attrattiva per le folle di credenti. L’ellisse e la curva sono predominanti e i volumi concavi si alternano ai volumi convessi; il risultato è un’armonia raffinata di decorazioni e giochi di chiaroscuro.

In Puglia si parla soprattutto di “Barocco leccese“; in realtà sarebbe forse più corretto parlare di plateresco tardivo. Il plateresco è uno stile artistico fiorito in Spagna nel XV e nel XVI sec. Esso s’ispira ai lavori d’argenteria (in effetti la parola deriva dallo spagnolo plata = argento, argenteria appunto) ed è una fantasiosa sintesi di rinascimento italiano, gotico spagnolo e influenze arabe. Importanti esempi di tale stile si trovano a Salamanca e Siviglia ma anche nelle colonie spagnole in America del Sud e in Messico.

Un po’ di storia

L’evidente influenza spagnola sull’architettura della città è abbastanza logica. È bene ricordare che nel 1559 la pace di Cateau-Cambrésis pone fine al conflitto tra la Francia e la Spagna e decreta la supremazia di quest’ultima sull’Italia meridionale. Considerata dagli spagnoli come determinante avamposto alle scorrerie turche, Lecce ha modo di rafforzare la sua posizione di secondo centro artistico e culturale del Regno.
Ma quali sono i motivi di una così esuberante produzione architettonica? Va ricordato che con il Concilio di Trento (dal 1545 al 1563) la Chiesa reagisce all’ attacco della riforma protestante traendone nuove energie; e ancora la battaglia navale di Lepanto (1571), conclusasi con una pesante sconfitta per i Turchi, è un’iniezione di fiducia per tutto il mondo cattolico.

La Basilica di Santa Croce a Lecce: esterno

La basilica di santa croce a Lecce

La facciata non ha soltanto un valore estetico ma anche fortemente simbolico. Essa è un manifesto del trionfo del cristianesimo (rappresentato da santi, fiori, piante e angeli in festa) sul paganesimo (figure mitologiche).
Il registro inferiore, di Gabriele Riccardi, si presenta in stile tardo rinascimentale. Esso è quasi privo di ornamenti, ad eccezione dei portali – aggiunti a partire dal 1606 da Francesco Antonio Zimbalo – che danno un tocco di movimento; sei colonne con capitelli figurati sottolineano la ripartizione spaziale interna.
Tredici telamoni antropomorfi e zoomorfi, rappresentanti le diverse culture e i diversi popoli, sostengono una balaustra ornata di tredici putti che portano i simboli del potere spirituale e temporale. Al centro del secondo livello, realizzato da Cesare Penna, si trova il grande rosone di ispirazione romanica con un fregio riccamente decorato: tra le decorazioni vegetali sono celati alcuni volti tra i quali, a sinistra, quello del suo stesso autore. Ai lati del rosone, in due nicchie, sono allocate le statue di S. Benedetto e di S. Celestino V, fondatore dell’ordine.

Basilica Santa Croce

Il fastigio è a sua volta separato dal secondo livello da un fregio con angioletti, sempre di Penna; il disegno, movimentato da venti putti, cela la scritta “dom matteo napo”: dom stà per Deo Optimo Maximo (dedicazione frequente negli edifici rinascimentali=in latino significa “A/per mezzo di Dio, il più buono, il più grande” ) mentre matteo napo indica l’abate Napoletano che nel 1549 diede inizio alla costruzione del Monastero adiacente. Il tutto culmina in un timpano tripartito che presenta al centro il Trionfo della croce, simbolo della vittoria del bene sul male. Esso è opera di Giuseppe Zimbalo, detto “lo Zingarello”, figlio di Francesco Antonio e uno dei protagonisti del barocco leccese.

Interno della basilica

L’interno è sobrio rispetto all’esterno e riprende il piano classico a croce latina diviso in tre navate; quella principale è coperta da un fastoso soffitto in legno dorato mentre le laterali sono sormontate da volte a crociera; ai lati di queste ultime si può ammirare una fila di cappelle con altari molto elaborati (14+2 del transetto). Soffermiamoci sulla quinta cappella della navata destra, dedicata a Sant’Oronzo. L’altare, caratterizzato da settecentesche colonne tortili, propone un’interessante tela votiva del Santo; secondo la tradizione il suo patrocinio preservò la città dal terribile terremoto che colpì il Salento il 20 febbraio 1743. L’episodio è descritto nei versi in vernacolo leccese apposti in basso, tra le testimonianze più antiche della letteratura dialettale cittadina.

L’altare dedicato a san Francesco di Paola è assolutamente spettacolare. La cappella, che si apre come una quinta teatrale nel transetto sinistro, è opera di Francesco Antonio Zimbalo; è considerato una delle migliori espressioni scultoree del barocco leccese.

Cappella S.Francesco da Paola
L’altare dedicato a san Francesco di Paola

La macchina d’altare fu concepita in modo da far convergere lo sguardo dell’osservatore verso il centro in cui originariamente erano collocati il tabernacolo e, in una nicchia, la statua del santo; attualmente la nicchia è coperta da una tela firmata nel 1833 da A. Calabrese. Negli spazi fra le colonne, mirabilmente cesellate, si inseriscono dodici pannelli raffiguranti episodi della vita e dei miracoli del Santo (visse l’ultima parte della sua vita a Tours, Francia). In alto l’altare è completato da statue d’angeli con i simboli della Passione di Cristo.

Pubblicato da Angelo Traverso

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